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Cari amici, visto che la primavera è un periodo propizio per cimentarsi nella lunga distanza, vorrei condividere con voi una parte di un bellissimo post in cui mi sono imbattuto navigando qua e là.
Faccio i complimenti all’autore e spero che non abbia nulla in contrario alla pubblicazione. La cronaca riguarda la maratona di Treviso e il link al blog completo lo trovate in fondo alla pagina.
30° km, la vera corsa inizia qui ed infatti si cominciano a contare i cadaveri. La maratona è una gara tattica, di attesa, di distribuzione oculata delle proprie forze: se sbagli l’approccio e parti troppo spavaldo, gli ultimi chilometri te li fai trascinandoti come uno zombie. E qui di zombie scoppiati si inizia a vederne tanti: li supero a capo chino e sguardo basso, sperando con tutto il cuore di non essere anch’io uno di loro tra qualche chilometro…

33° Km, sono qualche metro davanti a Davide ma inizio a perderne il contatto: mi volto spesso cercandolo, ma a questo punto della gara ognuno deve correre con il ritmo dettato dalle gambe ed in breve ci separiamo ed ora sono solo.
Cosa pensa un maratoneta durante la corsa? Se già a riposo sovente induce in onanismi mentali come il sottoscritto, cosa volete possa produrre la sua mente mentre scava in profondità in questa lunga e sofferta analisi interiore che dura oltre tre ore e mezza?
Immerso nella moltitudine dei corridori, tra due ali di folla a fare da pubblico, eppure mai così solo come in questo istante. Solo o in compagnia di me stesso e francamente al momento non so cosa sia peggio.
Le persone del pubblico mi osservano per lo più freddamente da dietro le transenne come se fossi un’animale misterioso dello zoo, ed io ricambio lo sguardo di sfuggita: chi tra noi è l’alieno? Colui che insegue un sogno sfidando la soglia del dolore per 42 Km o coloro che silenziosi ed attoniti lo fissano incapaci di comprendere, incapaci di immaginare, incapaci anche solo di intuire e per questo incapaci di lasciarsi andare ad un accalorato incitamento?


34° Km, ok Houston, lo stiamo perdendo, non abbiamo più il contatto con il Fat…ed io comincio ad avere le visioni: mentre sto correndo compare dal nulla all’improvviso, si avvicina con fare cortese, impeccabile nei pantaloni neri e camicia bianca, reggendo in mano un vassoio d’argento su cui poggia un foglietto piegato in due…
“ ‘zzo vuoi?”
“Il suo conto, signore…vedo che ha appena terminato la frutta, ha bevuto il caffè e pure l’amaro digestivo…se vuole saldare e lasciar libero il tavolo, mi farebbe una grossa cortesia…”
E’ lui, il famoso “cameriere che ti presenta il conto”, come direbbe Michele parafrasando l’incontro con il Muro del Maratoneta, quella odiosa e spiacevolissima sensazione di non averne più, di essere in piena riserva, di aver raschiato il fondo del barile con le unghie e di essere ormai svuotato completamente.
Stringo i denti, continuo a soffrire, ma non sono intenzionato a cedere di un passo.
“Sloggia, fila…non ho intenzione di pagare…aria, smamma…fuori dai maroni!!”
E’ esattamente in questo punto che la maratona diventa una faccenda di testa: se dai ascolto al dolore proveniente dalle gambe ti fermi, se cerchi di superare il limite mentale con la sola forza dei tuoi pensieri, allora vai avanti.
Ed io voglio andare avanti, superare anche questo limite, correre oltre e scoprire cosa c’è al di là di questo mio muro. Mi dissocio quindi dalle mie gambe: come se fossero in cancrena ed ormai irrecuperabili ad ogni cura le seziono, le enucleo dal mio corpo, un taglio netto e via...non sono più mie, non sono più le mie estremità che urlano di rallentare, non sono più parte di me, sono ormai le gambe di qualcun altro e, come direbbe il grande Aldo Rock, cessano da quel momento di essere un mio problema.
36° Km, è dura, minchia se è dura. Ora si è alzato anche il vento, o forse sono talmente sconvolto dalla fatica che anche la più leggera brezza mi sembra una bora triestina. E’ qui che dal nulla compare Alby, salta come un ossesso incitandomi, urla di non mollare proprio nel momento in cui io al contrario vorrei fermarmi lì con lui e farmi portare in auto al traguardo.
Non ho la forza di sorridergli, di ringraziarlo, forse (non ricordo…) riesco a fargli un cenno rapido con la mano, ma di sicuro è nelle sue parole che trovo il coraggio di non mollare di un centimetro e, testa china e sguardo sull’asfalto, andare avanti.
Al 38° km ho l’incitamento calorosissimo di Heidy, al 40° dei fratelli kenioti, in vista del traguardo di Andrea ed Armando…ancora grazie ragazzi, non avete idea di che cosa voglia dire sentire l’incitamento quando tutto fuori è buio!
Zigzago nelle stradine strette degli ultimi metri, manca davvero poco ma questo traguardo sembra non arrivare mai, sino a quando bello come pochi appare infine il gonfiabile che segnala la fine di ogni sofferenza. Tappeto arancio, ultimi metri e poi è solo felicità per aver vinto anche quest’ultima battaglia con me stesso!
Real time 3h 31’ 57”, limo altri 10 minuti e mezzo dal recente personale di Verona.

Lupi in agguato
il peggio è passato
forse fa male
eppure mi va
di stare collegato
di vivere d’un fiato
di stendermi sopra il burrone
e di guardare giù…

Epilogo.
Mi sono chinato ancora una volta ad osservare il burrone sotto di me ed ancora una volta ho domato la paura che tale voragine mi provoca, ma l’aver concluso un’altra maratona non fa certo di me un eroe, l’aver abbattuto un altro piccolo muro cronometrico non mi rende di sicuro una persona migliore di quella che ero.
Rigiro tra le dita la medaglia, pensando che è buffo correre e soffrire come un cane per ritrovarsi tra le mani questa brutta patacca… e solo allora mi accorgo di avere ancora sul volto un sorriso inconsapevole.
“In fondo è solo una corsa, una stupida inutile gara…”
Si, già, vabbè…raccontalo a qualcun altro, Fat!
E quando alla sera, a casa, la suddetta patacca passa nelle manine di mio figlio ed i suoi occhi sognanti mi restituiscono innocenti l’immagine di un uomo e di un padre invincibile, capisco che non sarà l’insegnamento d’una astrusa formula di trigonometria o la spiegazione del corretto utilizzo di una consecutio temporum a fare di me un buon maestro per lui; lo sarà il fargli capire dal mio timido esempio di minuscolo maratoneta a non arrendersi di fronte agli ostacoli, a non provare timore per le proprie paure interiori e ad inseguire costantemente i propri sogni, credendoci sempre, fino all’ultimo, qualunque essi siano.
Allora forse tutta questa fatica avrà un senso in più…